Colfosco

alla memoria

Il cimitero di Colfosco

Il cimitero di Colfosco si trova, come pochi, addossato alla chiesa parrocchiale. È sopravvissuto alla riforma napoleonica che aveva allontanato i campisanti dai luoghi di culto, relegandoli nelle periferie. Il motivo va ricercato nel fatto che la chiesa, all’epoca della sua prima costruzione, si trovava già in una zona isolata, alle pendici del Colle della Tombola, ben lontana dal paese.

La parrocchiale di San Daniele è andata a sostituire l’antica chiesa, sempre dedicata al profeta, posta quasi sulla cima del Colle della Tombola, che nel secondo Ottocento cominciò a perdere di importanza, anche perché il centro abitato era concentrato a valle, a ridosso della via dei Mercatelli, molto lontano dalla chiesetta.

L’autorizzazione vescovile per la costruzione della nuova chiesa arriva nel 1846 e dieci anni dopo c’è la benedizione, mentre la consacrazione, ad opera del vescovo Corradino Maria Cavriani, ha luogo il 6 settembre 1874.

All’epoca, il Comune era formato da Susegana e Colfosco. Nel 1819 Collalto era passato dal Comune di San Pietro di Feletto al Comune di Refrontolo, per far parte del Comune di Susegana solo nel 1889.

Per poter costruire la chiesa, nel 1852, gli abitanti di Colfosco chiedono aiuto all’autorità austriaca. Rivolgono una supplica all’Imperial Regia Prefettura di Finanza per avere gratuitamente la legna del Montello.

La famiglia Collalto, forte dei privilegi che le assegnava l’istituto giuridico del giuspatronato, punta a far dedicare la nuova chiesa alla Beata Giuliana, nobile badessa nata a Collalto nel 1186, fondatrice a Venezia del convento dei Santi Biagio e Cataldo, morta all’età di 76 anni, dopo aver patito forti mal di testa e per questo invocata ancora oggi come taumaturga delle emicranie.

Alla fine, però, la scelta cade sull’antica dedicazione a San Daniele Profeta, come la primogenita chiesa posta sul Colle della Tombola.

Riedificata tra il 1921 e il 1924, dopo le distruzioni della Grande Guerra, su disegno dell’architetto Domenico Rupolo, l’attuale chiesa di San Daniele ha una pianta a croce greca con tre navate e atrio. Il campanile, invece, è del 1946.

Il 24 giugno 1967 il Consiglio Comunale di Susegana, presieduto dal sindaco Pergentino Breda, accoglie unanimemente l’iniziativa dell’associazione “Ragazzi del 99” di realizzare a Colfosco, nei pressi della chiesa parrocchiale, un grande monumento dedicato al Cristo dell’Isonzo e del Piave. Il monumento viene inaugurato il 20 ottobre 1968 alla presenza del vescovo della Diocesi di Vittorio Veneto, monsignor Albino Luciani.

Il cimitero di Colfosco non viene allontanato mai dalla chiesa parrocchiale e, nella parte storica, conserva ancora oggi i tratti eleganti e ordinati dell’epoca in cui è stato realizzato.

Anche nel cimitero di Colfosco a parlare è la pietra. Quella su cui sono incisi i tanti nomi delle vittime, militari e civili, delle guerre del Novecento, la si incontra appena entrati, nella parte centrale del camposanto.

Un grande cumulo di massi in conglomerato locale, sormontato da una croce in cemento, accoglie una lapide con incisi decine di nomi di soldati e di civili che hanno perso la vita a causa della guerra. Una lapide dove si possono leggere un po’ tutti i cognomi storici di Colfosco, che suggella, con parole toccanti, il ricordo eterno di quei morti.

“Alla benedetta memoria di innumerevoli care vite nostre, durante la guerra atroce, sui campi insanguinati di battaglia o nella amatissima via del forzato esilio, spente. Cristiano pietoso, qui ai piedi e sotto la mistica ombra della croce santa di Cristo Dio, dove in un solo marmo volemmo raccolti i cari nomi, quasi in affettuoso unico amplesso, tributa fraterno omaggio di fiori, di lacrime, di pregi”.

Nella lapide, per primo viene ricordato il parroco di Colfosco, don Luigi Polacco, morto il 24 luglio del 1918 e seppellito a Sofratta, suo paese natale. Poi i nomi dei soldati, dei civili, dei “gigli della parrocchia” e infine la data: “Nella solennità dei morti, 2 novembre 1919, congiunti e parrocchiani col loro encomio spirituale, Gaia don Attilio Maria, lacrimando dedicano”.

Don Luigi Polacco è stato parroco di Colfosco per quasi cinquant’anni, dal 1870 al novembre del 1917, quando sul Piave infuriava la battaglia d’arresto per contenere l’invasione, dopo la rotta di Caporetto. A fine Ottocento è stato il fondatore di una cassa rurale cattolica, la prima a sorgere nella Diocesi di Ceneda, per far fronte alla grave crisi agraria scoppiata in un periodo storico molto difficile, che aveva acuito la piaga dell’usura. È stato attivo anche in politica, in particolare nella costituzione di un comitato elettorale cattolico capace di esprimere propri candidati alle elezioni.

Ai piedi della lapide che ricorda i caduti, in una tomba, riposano i sacerdoti monsignor Giorgio Anzanello, monsignor Liberale Durante e don Giorgio Dal Pos. Dall’agosto 2021, lì ha trovato sepoltura anche monsignor Luigi Davanzo, classe 1932, parroco a Colfosco per quasi 40 anni.

A parlare di pace tra i popoli e di memoria di quegli anni di sofferenza e di guerra è anche il monumentale Cristo che protende le sue mani benedicenti verso le terre poste a valle e verso quel fiume insanguinato, divenuto Sacro alla Patria, che hanno visto il sacrificio di tante vite umane durante la Grande Guerra.

Una delle quattro lapidi, poste ai piedi del monumento al Cristo dell’Isonzo e del Piave e oggetto di restauro conservativo in occasione dei cento anni dalla fine del primo conflitto mondiale, così recita: “La popolazione di Colfosco, fiera di cotanto onore, si impegna a custodire gelosamente questo monumento dedicato ai caduti civili del Piave e di tutte le guerre che, affratellati nella morte agli eroici combattenti di tutte le frontiere, offrirono l’olocausto della loro vita per la difesa del focolare domestico e la salvezza della Patria”.

Anche nel cimitero di Colfosco a parlare è la pietra. Quella su cui sono incisi i tanti nomi delle vittime, militari e civili, delle guerre del Novecento, la si incontra appena entrati, nella parte centrale del camposanto.

Un grande cumulo di massi in conglomerato locale, sormontato da una croce in cemento, accoglie una lapide con incisi decine di nomi di soldati e di civili che hanno perso la vita a causa della guerra. Una lapide dove si possono leggere un po’ tutti i cognomi storici di Colfosco, che suggella, con parole toccanti, il ricordo eterno di quei morti.

“Alla benedetta memoria di innumerevoli care vite nostre, durante la guerra atroce, sui campi insanguinati di battaglia o nella amatissima via del forzato esilio, spente. Cristiano pietoso, qui ai piedi e sotto la mistica ombra della croce santa di Cristo Dio, dove in un solo marmo volemmo raccolti i cari nomi, quasi in affettuoso unico amplesso, tributa fraterno omaggio di fiori, di lacrime, di pregi”.

Nella lapide, per primo viene ricordato il parroco di Colfosco, don Luigi Polacco, morto il 24 luglio del 1918 e seppellito a Sofratta, suo paese natale. Poi i nomi dei soldati, dei civili, dei “gigli della parrocchia” e infine la data: “Nella solennità dei morti, 2 novembre 1919, congiunti e parrocchiani col loro encomio spirituale, Gaia don Attilio Maria, lacrimando dedicano”.

Don Luigi Polacco è stato parroco di Colfosco per quasi cinquant’anni, dal 1870 al novembre del 1917, quando sul Piave infuriava la battaglia d’arresto per contenere l’invasione, dopo la rotta di Caporetto. A fine Ottocento è stato il fondatore di una cassa rurale cattolica, la prima a sorgere nella Diocesi di Ceneda, per far fronte alla grave crisi agraria scoppiata in un periodo storico molto difficile, che aveva acuito la piaga dell’usura. È stato attivo anche in politica, in particolare nella costituzione di un comitato elettorale cattolico capace di esprimere propri candidati alle elezioni.

Ai piedi della lapide che ricorda i caduti, in una tomba, riposano i sacerdoti monsignor Giorgio Anzanello, monsignor Liberale Durante e don Giorgio Dal Pos. Dall’agosto 2021, lì ha trovato sepoltura anche monsignor Luigi Davanzo, classe 1932, parroco a Colfosco per quasi 40 anni.

A parlare di pace tra i popoli e di memoria di quegli anni di sofferenza e di guerra è anche il monumentale Cristo che protende le sue mani benedicenti verso le terre poste a valle e verso quel fiume insanguinato, divenuto Sacro alla Patria, che hanno visto il sacrificio di tante vite umane durante la Grande Guerra.

Una delle quattro lapidi, poste ai piedi del monumento al Cristo dell’Isonzo e del Piave e oggetto di restauro conservativo in occasione dei cento anni dalla fine del primo conflitto mondiale, così recita: “La popolazione di Colfosco, fiera di cotanto onore, si impegna a custodire gelosamente questo monumento dedicato ai caduti civili del Piave e di tutte le guerre che, affratellati nella morte agli eroici combattenti di tutte le frontiere, offrirono l’olocausto della loro vita per la difesa del focolare domestico e la salvezza della Patria”.

Molte sono le storie che raccontano le tombe del cimitero, ognuna con la sua specificità e il suo bagaglio di memoria. Alcune sono entrate a far parte del quotidiano chiacchierare di tempi non lontani, come quella che ha come protagonista Luigi Zoppas (Ijo Zhopàs), il “becchino” del paese.

Del cimitero di Colfosco colpiscono l’ordine e la sobrietà con cui, nel tempo, si sono posate le tombe e costruite le cappelle gentilizie.

Lungo il perimetro si alternano tombe di famiglia segnate dal tempo e moderne cappelle, anche di buon pregio architettonico, come quella in marmo nero della famiglia Zaina.

Maria Antonietta Bernardi, nata nel 1902 a Colfosco, dopo il matrimonio con Gio Batta Zaina, dava alla luce tre figli, venuti a mancare in giovane età. Aveva quindi disposto che, all’atto della sua morte e tramite un esecutore testamentario da lei nominato, l’intero suo patrimonio fosse devoluto a un ente morale di ispirazione cristiana che si occupasse di minori disabili e in difficoltà. Nasceva così una fondazione, costituita nel 1984, per dar corso alla volontà testamentaria di Maria Antonietta Bernardi, che portava all’iscrizione dell’Ente al Registro Unico Nazionale delle ONLUS e alla realizzazione di una comunità alloggio, dove poter avviare un’azione di recupero alla socialità di minori soli o in grave difficoltà.

La comunità si trova a Parè, a ridosso del torrente Crevada, che segna il confine tra il Comune di Susegana e quello di Conegliano.

Addossata alla tomba che custodisce la memoria di Maria Antonietta Bernardi, Gio Batta Zaina e dei loro figli c’è quella della famiglia Mariotto, progettata dall’architetto Ugo Meneghin, classe 1915, di Colfosco e, a seguire, numerose altre, tutte di bella fattura.

Molte sono le storie che raccontano le tombe del cimitero, ognuna con la sua specificità e il suo bagaglio di memoria. Alcune sono entrate a far parte del quotidiano chiacchierare di tempi non lontani, come quella che ha come protagonista Luigi Zoppas (Ijo Zhopàs), il “becchino” del paese.

Nato a Colfosco nel 1900, Luigi era figlio di Alfonso Zoppas, tra i pochi a lavorare una terra non appartenente ai Collalto, che in paese si occupava anche delle sepolture.

Luigi era una persona taciturna e introversa, dal portamento serio; un lavoratore energico e meticoloso, che per il suo rigore e l’atteggiamento distaccato, incuteva comunque una certa soggezione.

Va detto che, nella diffusa povertà di allora, la nostra gente non rinunciava a cogliere qualche aspetto comico anche nei momenti difficili o nelle situazioni che comiche non erano. Non per capire le difficoltà della vita ma, forse, per sopportarle meglio. Così, in quanto necroforo, non di rado, a Colfosco, Luigi Zoppas era oggetto della bonaria ironia popolare.

In paese si era diffuso il simpatico detto secondo cui era meglio avere a che fare con il medico, il giudice, i carabinieri, o qualsiasi altra autorità che passare per le mani di Ijo Zhopàs, lasciando intendere che quando si aveva a che fare con lui, poteva essere per davvero la fine di tutto…

All’epoca era costume che il “becchino” si accostasse all’uscita del cimitero per riceve qualche offerta dai capifamiglia che avevano partecipato alle esequie, a dimostrazione della riconoscenza per il lavoro svolto. Usanza che Ijo Zhopàs non dimenticava mai di onorare.

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